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XXXVIII CONGRESSO NAZIONALE SICP

2023-03-29T11:23:32+02:0029 Marzo 2023|Categorie: News|

21/22 settembre 2023, Riva Del Garda Centro Congressi – Apertura Call for Abstract e iscrizioni

Il XXXVIII Congresso Nazionale SICP “La Patologia Cartilaginea della Caviglia: dalla biologia al metallo” è in calendario a Riva Del Garda Centro Congressi il 21/22 settembre 2023.

Consulta il sito dell’evento per tutte le informazioni www.sicp2023.it

 

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ALLUCE RIGIDO

2023-03-27T12:53:41+02:0020 Marzo 2023|Categorie: Pazienti|

L’alluce è costituito da due falangi collegate tra loro da un’articolazione interfalangea (IF) ; la prima falange dell’alluce si articola a sua volta con il I° metatarsale tramite l’articolazione metatarso-falangea (MF) che è l’articolazione responsabile del movimento di flessione ed estensione dell’alluce. Il termine “alluce rigido” indica l’artrosi dell’articolazione metatarso-falangea. L’artrosi è caratterizzata da una progressiva usura della cartilagine articolare che comporta un graduale irrigidimento dell’articolazione.

DEFINIZIONE

L’alluce è costituito da due falangi collegate tra loro da un’articolazione interfalangea (IF) ; la prima falange dell’alluce si articola a sua volta con il I° metatarsale tramite l’articolazione metatarso-falangea (MF) che è l’articolazione responsabile del movimento di flessione ed estensione dell’alluce.
Il termine “alluce rigido” indica l’artrosi dell’articolazione metatarso-falangea.  L’artrosi è caratterizzata da una progressiva usura della cartilagine articolare che comporta un graduale irrigidimento dell’articolazione.
Come tutte le forme di artrosi si tratta di una patologia evolutiva che tende progressivamente a peggiorare con il passare del tempo.
Le cause sono nella maggior parte secondarie ad una anomalia della forma delle superfici articolari che vanno incontro ad una usura precoce , ma possono essere anche dovute a traumi , ad infezioni , ad esiti di interventi chirurgici,…

SINTOMATOLOGIA

La progressiva usura della cartilagine articolare comporta un graduale irrigidimento dell’articolazione fino ad un blocco pressochè completo ; inoltre comporta la formazione di becchi ossei (osteofiti) che deformano l’articolazione e ne aumentano il volume specie della parte dorsale.
Il paziente in genere lamenta dolore dovuto all’attrito dei capi articolari nel movimento residuo ed allo sfregamento degli osteofiti con la calzatura e la conseguente formazione di borsiti.
Il dolore e la rigidità aumentano progressivamente ostacolando la deambulazione specie nella fase di spinta del passo ; inoltre gli osteofiti si accrescono progressivamente specie sul dorso dell’articolazione ostacolando o rendendo difficoltosa la calzata della scarpa.
Al contrario dell’alluce valgo nell’alluce rigido il dito rimane in asse e ben allineato con il resto del piede.

DIAGNOSI

La diagnosi è basata in generale sulla clinica che come detto in precedenza è caratterizzata da dolore articolare , diminuzione del movimento e tumefazione ossea specie nella parte dorsale dell’articolazione.
L’esame strumentale più utile è la radiografia in due proiezioni in carico ; questa evidenzia la scomparsa della cartilagine articolare con avvicinamento delle superfici ossee  e la presenza degli osteofiti cioè dei caratteristici becchi ossei specie sulla parte dorsale dell’articolazione.
Altri esami complementari , come l’ecografia , o più complessi come la RMN o la TC , sono in genere superflui e poco utili per la diagnosi.

TRATTAMENTI NON CHIRURGICI

Sono finalizzati soprattutto a ridurre il dolore ed a migliorare la deambulazione.
I principali sono
– terapie farmacologiche analgesiche e/o antiinfiammatorie per via generale
– terapie fisiche strumentali con effetto antiinfiammatorio ; sono invece controindicati trattamenti di mobilizzazione manuali
– uso di calzature comode con suola poco flessibile ed eventualmente con suola convessa per facilitare la fase finale del passo ; in casi specifici uso di ortesi plantari personalizzate
– infiltrazioni articolari cortisoniche o con acido ialuronico.

TRATTAMENTO CHIRURGICO

Il trattamento chirurgico è in generale proposto in caso di scarso beneficio della terapia conservativa , in caso di rapida progressione o d’emblée in casi particolarmente gravi.
Esistono diverse tipologie di interventi che vengono utilizzati a seconda dello stadio evolutivo dell’artrosi e/o delle caratteristiche del paziente.
Alcuni di questi , in generale utilizzati in casi non troppo gravi con una articolarità ancora discretamente conservata , hanno la finalità di migliorare il movimento e di bloccare o rallentare il peggioramento dell’artrosi ; consistono nell’asportazione degli osteofiti (cheilectomia) e/o nell’uso di osteotomie che decomprimono l’articolazione.
In casi più avanzati con importante compromissione dell’articolazione si utilizzano interventi di bloccaggio definitivo dell’articolazione (artrodesi) , di asportazione di parte delle superfici articolari (artroplastiche) o nel posizionamento di protesi o spaziatori.

Cheilectomia

Si tratta dell’asportazione dei becchi ossei ed in generale in una pulizia chirurgica e mobilizzazione dell’articolazione ; è un intervento che in genere da solo produce risultati limitati in quanto non modifica sostanzialmente la meccanica dell’articolazione e non impedisce la progressione dell’artrosi ; determina invece buoni risultati sulla miglior calzabilità per la riduzione delle prominenze ossee.

Osteotomie di decompressione

Vengono in genere associate ad interventi di cheilectomia per avere un risultato più duraturo ; consistono in tagli ossei (osteotomie) che , come fratture artificiosamente prodotte , permettono di decomprimere o di riorientare le superfici  cartilaginee residue al fine di rallentare o bloccare la progressione dell’artrosi. In questi casi vengono in genere utilizzati mezzi di sintesi (viti , placche , fili,..) per fissare stabilmente l’osteotomia.

Artrodesi

Si tratta del bloccaggio chirurgico dell’articolazione che viene fissata in una posizione che permette un soddisfacente svolgimento del passo ; è un intervento che viene riservato ai casi più avanzati su articolazioni già rigide. Permette di avere buoni risultati sul dolore e risolve in maniera definitiva la patologia.
L’intervento consiste nella rimozione degli osteofiti e delle residue cartilagini articolari , nel posizionamento in posizione funzionale dei capi articolari e nella loro fissazione stabile con viti, placche o fili metallici.

Artroplastiche

L’intervento consiste nella asportazione di una parte dell’articolazione , in genere la base della prima falange , in modo da decomprimere l’articolazione e di ripristinare parte del movimento.

Protesi o spaziatori

In questo caso vengono asportate le due superfici articolari , metatarsale e falangea, e sostituite con protesi che vicariano l’articolazione ; queste protesi possono sostituire i due capi articolari  (protesi vere e proprie) , analogamente a quanto viene attuato su articolazioni maggiori come anca o ginocchio,  o funzionare come elementi di interposizione tra i due capi articolari (spaziatori). In ogni caso la finalità è quella di ripristinare un certo movimento articolare eliminando nel contempo il dolore.

PRESA IN CARICO E DECORSO POST-OPERATORIO

L’intervento è eseguito in genere in anestesia periferica con blocco dei tronchi nervosi o anestesia spinale ; in casi particolari in anestesia locoregionale o generale ; la decisione sul tipo di anestesia è di competenza dello specialista anestesista che deciderà la metodica più idonea per il singolo paziente.
La dimissione viene di solito effettuata il giorno successivo l’intervento ; in casi particolari l’intervento viene effettuato in regime di Day-Surgery.
Il carico è in genere concesso con calzatura post-operatoria.
Nel post-operatorio vengono effettuate medicazioni a cadenza programmata ; controlli radiografici vengono eseguiti per verificare la consolidazione di osteotomie e artrodesi.
In alcuni casi è previsto un trattamento fisioterapico e riabilitativo.
In caso di cheilectomia , osteotomie e artroplastiche verranno effettuati controlli periodici clinici e radiografici per monitorare nel tempo l’evoluzione dell’articolazione.
In caso di artrodesi una volta verificata la consolidazione il risultato può essere considerato stabile e la sorveglianza può essere limitata alle articolazioni adiacenti.
Una sorveglianza più attenta è invece necessaria per gli interventi che prevedono impiego di protesi o spaziatori , dispositivi che sono soggetti nel tempo a fenomeni di usura e di mobilizzazione.

COMPLICANZE

Ciascun gesto chirurgico , anche banale , non è mai privo di rischi ; anche se vengono messe in atto di abitudine tutte le precauzioni possibili per minimizzare il rischio chirurgico questo non potrà mai essere azzerato. Occorre pertanto nella decisione chirurgica , anche da parte del Paziente , valutare le possibili conseguenze negative dell’intervento a fronte dei miglioramenti attesi (“bilancio rischi-benefici). Conseguenze negative possono essere rappresentate da incompleta risoluzione del problema che ha condotto all’intervento , alla ricomparsa o al peggioramento dei disturbi , al sopravvenire di problemi diversi , spesso imprevedibili e gravi. Tali reazioni avverse possono essere dovute a complicanze dell’intervento ma talvolta ad eventi imprevisti ed imprevedibili dovuti a condizioni locali o problemi di salute generale ; ad esempio l’assunzione di alcuni tipi di farmaci , malattie sistemiche come il diabete o problemi reumatologici , alterazioni circolatorie , il fumo o l’assunzione di droghe , la scarsa collaborazione sono tutte situazioni che comportano un aumento del tasso di complicanze. Le complicanze possono essere distinte in generiche e specifiche ; ovviamente non è possibile elencare tutte le possibili complicanze anche perché alcune di esse incidono in maniera del tutto eccezionale.

COMPLICANZE GENERICHE

– infezioni   circa 4-5% dei casi  ; come prevenzione viene effettata una profilassi antibiotica preoperatoria ; in caso di infezione profonda è quasi sempre necessario un intervento di revisione con asportazione del materiale impiantato e bonifica del focolaio
–  tromboflebiti  circa 5% dei casi  ; al fine di ridurre il rischio viene effettuata una profilassi con eparina  a basso peso molecolare o altri farmaci che andrà protratta fino a normalizzazione del carico
–  problemi a carico della ferita chirurgica come ritardo di cicatrizzazione , deiescenza , cicatrice cheloidea,…
–  ematoma in sede di intervento; in questo caso può essere necessario un intervento di revisione e drenaggio
–  edema residuo ; normalmente un edema più o meno importante può risultare presente nei primi sei mesi e talvolta protrarsi anche successivamente e in rari casi non risolversi completamente ; richiede spesso un trattamento specifico farmacologico o fisioterapico
–  algodistrofia o m. di Sudek : si tratta di una sindrome dolorosa regionale scatenata dall’intervento che comporta alterazioni del microcircolo ; la durata può essere anche molto lunga di qualche mese e può lasciare come esito rigidità e/o alterazioni trofiche
–  lesioni dei nervi di vicinanza al sito chirurgico con correlata sintomatologia algoparestesica
–  complicanze relative all’anestesia
– complicanze di ordine generale

COMPLICANZE SPECIFICHE

Nel caso di cheilectomia , osteotomie e artroplastiche
– progressione dell’artrosi con persistenza di limitazione articolare ; in rari casi peggioramento della rigidità articolare
– mancata fusione dell’osteotomia  specie in soggetti fumatori , vasculopatici , diabetici , ecc.
– malconsolidazione dell’osteotomia per dislocazioni secondarie specie in caso di scarsa qualità del tessuto osseo
– rottura , mobilizzazione o intolleranza ai mezzi di sintesi
– metatarsalgia in corrispondenza del I° metatarsale o dei raggi vicini per trasferimento di carico
– intrappolamento o sezione di tronchi nervosi con secondaria sintomatologia anestesica o parestesica
Nel caso di artrodesi
– mancata fusione dell’artrodesi specie in soggetti fumatori , vasculopatici , diabetici,..
– malconsolidazione dell’artrodesi con alterata posizione dell’alluce sul piano trasverso (varo-valgo) , sul piano sagittale (estensione- flessione) , sul piano frontale (malrotazioni)
– sovraccarico delle articolazioni adiacenti interfalangea e cuneometatarsea con dolore locale
– alterazioni da sovraccarico sui raggi vicini
– alterazioni della marcia per scarso adattamento alla nuova situazione meccanica
Nel caso di protesi o spaziatori
– rigidità dolorosa dell’articolazione
– mobilizzazione o rottura dell’impianto
– metatarsalgie di trasferimento o altre alterazioni da sovraccarico sui raggi laterali
Alcune di queste condizioni richiedono un trattamento chirurgico di ripresa.

INSTABILITA’ DI CAVIGLIA

2023-03-27T12:53:43+02:0020 Marzo 2023|Categorie: Pazienti|

La distorsione di caviglia è uno dei traumi più frequenti che possono accadere nel corso della vita quotidiana. In più dell’80% dei casi viene interessato il comparto esterno della caviglia (legamento peroneo-astragalico anteriore, posteriore e peroneo-calcaneare). Il trattamento conservativo in acuto risolve la gran parte dei traumi. Tuttavia in alcuni casi (fino al 20%) potrebbe svilupparsi una instabilità, specie a seguito di traumi ripetuti.

Anatomia

Il comparto legamentoso laterale della caviglia è costituito dal legamento peroneoastragalico anteriore, il peroneo astragalico posteriore ed il peroneo calcaneare. Il peroneo astragalico anteriore origina dalla faccia anteriore del perone distale alla linea articolare della caviglia e si inserisce nella faccia laterale dell’astragalo, distale alla superficie articolare. Il peroneo astragalico posteriore origina dalla faccetta posteriore del perone e si inserisce nella superficie postero-laterale dell’astragalo. Il peroneo-calcaneare origina dalla parte distale del perone e si dirige in direzione obliqua e posteriore fino alla parete laterale del calcagno. Questo legamento interessa sia l’articolazione tibio-tarsica che sotto-astragalica e gioca un importante ruolo anche nella stabilità di quest’ultima. Il peroneo astragalico anteriore è la struttura più frequentemente lesionata dopo una distorsione di caviglia ed è coinvolto in circa l’ 80% dei casi. Il peroneo-calcaneare è interessato in circa il 50-70% ed il peroneo-astragalico posteriore in meno del 10% dei casi.

Sintomi

L’esame obiettivo dei pazienti che presentano problemi di instabilità di caviglia dovrebbe sempre iniziare con una valutazione dell’allineamento del piede e della caviglia. Alcuni fattori, come un piede cavo-varo, possono predisporre i pazienti ad instabilità ricorrente. Allo stesso modo, si dovrebbe valutare la presenza di un’iperlassità articolare e legamentosa, che può essere un altro fattore predisponente.
Nell’esaminare la caviglia, è importante valutare il range di movimento e la forza, confrontandoli anche con il controlaterale non lesionato. I test clinici egualemente, come quello del cassetto anteriore, dovrebbero essere eseguiti confrontandone i risultati con il lato controlaterale. La presenza di un versamento articolare è spesso indicativa di un processo infiammatorio cronico e/o patologia intra-articolare. Bisogna anche prestare attenzione al fine di escludere patologie concomitanti (confondenti), come peroneo o Tendinopatia di Achille e fratture occulte del processo calcaneale anteriore, processo talare laterale o quinto base metatarsale.

Diagnosi

La valutazione clinica è imprescindibile per una corretta diagnosi.
Possono essere richieste delle RX in carico per valutare l’asse della caviglia e del piede, la presenza di eventuali deformità ossee ed il grado di degenerazione articolare.
La RMN è l’esame di preferenza per la valutazione di lesioni legamentose e permette diidentificare anche eventuali lesioni della cartilagine articolare.

Opzioni di trattamento

Trattamento non-chirurgico

Al fine di trattare l’instabilità cronica di caviglia, alleviare i sintomi e minimizzare i rischi di
ricorrenti distorsioni, si consiglia una combinazione dei seguenti trattamenti:

  1. Terapia di rafforzamento dei muscoli attorno alla caviglia: questa terapia include esercizi per rinforzare i muscoli che evertono ed invertono la caviglia. In particolare occorre prestare attenzione a quelli che la evertono, incluso il peroneo lungo ed il peroneo breve, poiché permettono alla caviglia di resistere all’inversione.
  2. Migliorare la propriocezione: si dovrebbe effettuare un trattamento mirato al miglioramento della propriocezione della caviglia. Esercizi che migliorano l’equilibrio, come stare in piedi su una sola gamba con gli occhi chiusi su una superficie piana e poi su una superficie morbida sempre mantenendo gli occhi chiusi, possono essere molto utili per migliorare la propriocezione.
  3. Uso preventivo di tutori: nei pazienti che svolgono attività ad alto rischio, un uso preventivo di tutori tramite taping e bendaggi specifici si può rivelare utile.
    Con una combinazione di questi trattamenti, molti pazienti con instabilità di caviglia possono essere trattati in modo conservativo senza la necessità di sottoporsi ad interventi chirurgici.

Trattamento chirurgico

Alcuni pazienti non rispondono al trattamento conservativo e necessitano di intervento chirurgico.
Solitamente si ricorre all’intervento nei pazienti che hanno avute multiple distorsioni o episodi di instabilità che non possono essere controllati tramite cure preventive. Oltre a ciò a pazienti che, clinicamente o durante un’operazione, siano state diagnosticate patologie intra-articolari come lesioni osteocondrali di astragalo beneficeranno della stabilizzazione delle strutture laterali legamentose lesionate.
La tipologia di trattamento maggiormente usata per stabilizzare chirurgicamente la caviglia è la riparazione anatomica dei legamenti laterali (Intervento di Broström). Essa riguarda il legamento peroneo-astragalico anteriore ed il legamento peroneo-calcaneare che vengono riparati tramite sutura.
Un altro trattamento possibile è la ricostruzione dei tendini dei legamenti laterali con tecnica non-anatomica. Questa procedura rinforza i legamenti deteriorati ancorando il tendine
all’osso tramite trasposizioni o graft per aumentare il supporto in questa area.
In pazienti con piede cavo-varo e caviglia instabile può essere necessaria una osteotomia lateralizzante di calcagno per riallineare e stabilizzare il retropiede.
Questa procedura include il taglio dell’osso e il suo spostamento verso l’esterno (diverse tecniche descritte), che poi viene stabilizzato con fili o viti.

TENDINOPATIA INSERZIONALE ACHILLEA

2023-03-27T12:53:44+02:0020 Marzo 2023|Categorie: Pazienti|

La tendinopatia inserzionale achillea è una degenerazione delle fibre del tendine di Achille alla sua inserzione nell’osso del calcagno; può essere associata con l’infiammazione di una borsite retro calcaneare o della guaina tendinea nella stessa area.

Cause

La causa è una degenerazione del tendine; l’area diventa infiammata e tumefatta. Il paziente
medio è all’incirca quarantenne, con vita quotidiana attiva. Le condizione associate con un rischio
maggiore includono un piede cavo, una retrazione del tricipite surale la psoriasi, gotta,
iperlipidemia familiare, la sarcoidosi ed infine anche l’uso di medicine come steroidi ed antibiotici
fluorochinolonici

Anatomia

Il tendine di Achille è il più grande tendine del corpo umano e si forma dall’unione di tre muscoli
della parte alta caviglia (gastrocnemio mediale e laterale e soleo) ed il suo scopo principale è
quello di plantar-flettere la caviglia; si inserisce nella parte posteriore del calcagno. Ci potrebbe
essere una prominenza del calcagno, definita come morbo di Haglund che potrebbe creare
un’infiammazione meccanica del tendine di Achille.

Sintomi

Molti pazienti riportano un graduale aumento del dolore e del gonfiore nell’inserzione del tendine
nel retro del calcagno senza uno specifico trauma; all’inizio il dolore si nota solo dopo attività fisica
ma in seguito diventa più costante. Il dolore è accentuato dalle attività di corsa e/o salto e quindi
con sport che richiedono brevi picchi di queste attività. E’ presente una infiammazione nel retro del
calcagno e spesso si evidenzia un prominenza ossea. Dorsiflettere la caviglia sopra i 90° è limitato
dal dolore.

Diagnosi

La diagnosi è principalmente clinica, le RX possono mostrare calcificazioni all’interno del tendine
nella sua inserzione nel calcagno in circa il 60% dei casi. Le RX possono anche dimostrare la
presenza della deformità di Haglund. La RMN rimane la diagnostica per immagini di scelta perchè
permette di determinare il livello della degenerazione del tendine così come altre condizioni comela presenza di una borsite che possono contribuire al dolore in questa area.

Opzioni di trattamento

Trattamento non-chirurgico

Il trattamento conservativo è efficace nella maggioranza di pazienti con uso di FANS, scarico del
tallone, stretching e calzature adeguate. Se i sintomi persistessero allora possono essere usati
tutori notturni, plantari e fisiokinesiterapia specifica.
Domanda frequente: Le iniezioni di cortisone aiutano?
Le iniezioni di cortisone non sono consigliate per questa patologia perchè possono portare a
lesioni del tendine e renderne più probabile la rottura.

Trattamento chirurgico

La chirurgia è indicata dopo mesi di fallimento di trattamento conservativo.
L’operazione rimuove la parte degenerata del tendine, qualunque sperone osseo che irriti il tendine
e tutto il tessuto infiammato della borsa sia con tecnica open che con ausilio di artroscopio.
Se il tendine è retratto potrebbe essere necessario il suo allungamento. L’inserzione del tendine al
calcagno può necessitare di essere reinserita tramite sutura diretta o con ancore che lo attacchino
direttamente all’osso. Molte tecniche sono state descritte, inclusa la tendoscopia e non c’è un
consenso chiaro riguardo alla migliore tecnica sia in termini di successo che di complicanze. Nei
pazienti più anziani o in quelli dove più del 50% del tendine viene rimosso uno degli altri tendini del
retropiede è solitamente trasferito nel calcagno per rafforzare il tendine di Achille e garantire una
migliore guarigione.

Possibili complicanze

A causa della limitata irrorazione di sangue alla cute ed ai tendini in quest’area, il maggior rischio
dopo l’operazione è l’infezione della ferita e il distacco del tendine.
Recupero post-operatorio
Dopo l’operazione si consiglia di portare un tutore per 2 settimane in equinismo per permettere alla
ferita di guarire; quando la ferita è guarita si comincia il carico con un tutore o gesso nella stessa
posizione con esercizi specifici per il recupero articolare. la fisiokinesiterpia più intensa comincia
tra le 4-6 settimane. il ritorno all’ attività fisica è stimato tra le 8 e 12 settimane e dipende dalla
quantità di degenerazione tendinea al momento dell’operazione. Se avviene anche una
trasposizione tendinea il recupero può essere più lungo. Alcuni pazienti possono necessitare tra gli
1 e 2 anni per riprendersi sia con trattamenti conservativi che chirurgici. Buoni e ottimi risultati
dopo la chirurgia si registrano in una percentuale del 75%.

BUNIONETTE

2023-03-27T12:53:45+02:0020 Marzo 2023|Categorie: Pazienti|

È una prominenza dolorosa della parte laterale del piede in corrispondenza del V dito. Con il passare del tempo può peggiorare e talvolta associarsi a un alluce valgo. Il dolore è causato dallo sfregamento della prominenza ossea contro le calzature portando a una infiammazione della pelle.

TRATTAMENTO CONSERVATIVO

Il trattamento conservativo è volto a limitare lo sfregamento della pelle contro la scarpa che dovrà essere larga sulla punta.

TRATTAMENTO CHIRURGICO

Il trattamento chirurgico consiste nell’eseguire una osteotomia (taglio dell’osso) a livello del collo del V metatarso, cioè appena prossimale alla deformità stessa. La testa del metatarso verrà quindi spostata verso l’interno del piede e fissata o con un filo di Kirschner o con una vite. In tal modo si andrà a rimuovere la prominenza ossea andando a risolvere il problema.

POSSIBILI COMPLICANZE

L’unica complicanza specifica del trattamento è, raramente, la difficoltà di guarigione dell’osso.
È estremamente rara la recidiva.

DECORSO POST OPERATORIO

È possibile concedere un carico da subito con scarpa post operatoria per 1 mese.
Alla prima visita di controllo, dopo 1 mese, verrà rimosso il filo di Kirschner se presente.

MORBO DI HAGLUND

2023-03-27T12:53:47+02:0020 Marzo 2023|Categorie: Pazienti|

La deformità di Haglund è un ingrossamento osseo (iperostosi) nella parte posteriore del tallone in corrispondenza dell’inserzione del tendine di Achille sul calcagno.

Cause

Quest’area tra tendine ed osso, che è normalmente molto sottile e quasi virtuale, si può
infiammare a causa dell’aumento di attrito tra il calcagno e il tendine di Achille. Non è
sempre chiaro quanto di questo problema al tendine d’Achille sia dovuto alla deformità di
Haglund.

Sintomi

I pazienti con deformità di Haglund possono o non possono avere dolore. A volte, questo
dolore è dovuto dalla frizione che si verifica con le calzature. Altre volte può essere
causato dalla degenerazione del tendine di Achille a causa della pressione ivi posta.
Quando è presente, il dolore generalmente si localizza sopra all’inserzione del tendine di
Achille ed ai lati del calcagno.

Trattamento conservativo

Un sollevamento del tallone tramite un plantare, permette al tendine in qualche modo di
allontanarsi dall’osso e quindi di ridurre l’attrito tra di loro. L’ associazione con la
fisiochinesiterapia porta a guarigione i pazienti nella maggior parte dei casi.

Trattamento chirurgico

Alcune volte è necessario il trattamento chirurgico, con l’obiettivo di ridurre il conflitto tra
tendine ed osso: la rimozione dell’osso eccessivo può essere eseguita per via open
(tramite accesso laterale, mediale o posteriore) o per via artroscopica.

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